giovedì 30 giugno 2011

NINA PALMIERI PRESENTA "RAGAZZE CHE AMANO RAGAZZE"


In linea con queste giornate tese di esami e maturità, ecco la pagella della presentazione organizzata da Circomassimo in collaborazione con Melbook:
GEOGRAFIA: 8. Ho apprezzato molto la decisione di organizzare la presentazione del libro sotto i portici della libreria, invece di usare la nuova sala ristrutturata al terzo piano. Ci saranno state più zanzare e umidità, ma è importante che argomenti ancora controversi come l'omosessualità possano affacciarsi direttamente sulla piazza in fermento, stimolare la curiosità dei passanti.
STORIA: 6, 5. Le storie raccontate da Nina Palmieri appartengono alle esperienze vissute attraverso la strutturazione del programma televisivo "Le storie di Nina" (appunto) dedicato all'esplorazione dell'universo lesbico. La tematica è sicuramente interessante, per questo merita una sufficienza abbondante, ma durante la serata non ho trovato grandi stimoli di riflessione. Sia l'autrice che la moderatrice hanno dimostrato disponibilità e spigliatezza, ma i punti toccati dalla discussione - fatta eccezione per l'approfondimento sul modello genitoriale trasmesso dalla famiglia omosessuale - sono stati abbastanza banali.
ITALIANO: 5. Le letture non mi hanno convinto per nulla. Di solito alle presentazioni si propongono i brani più intensi o accattivanti, ma spero vivamente che ieri sera la scelta degli estratti abbia giocato al ribasso (magari per sorprendere il temerario che si decide all'acquisto). Possibile che da una realtà così densa e complessa il meglio che si riesca a cavare è una vaga riflessione identitaria sull'opportunità di farsi crescere i peli sulle gambe?
TECNICA: 5. Gli amplificatori dei microfoni erano inutilmente posizionati vicini alle prime file del pubblico, chi era seduto un po'indietro non riusciva a capire granché.
CHIMICA: 7,5. Come conferma la statica dei fluidi: l'aperitivo offerto suscita sempre reazioni positive.
Dalla media dei voti risulta un 6 +. Serata non particolarmente entusiasmante, ma tutto sommato soddisfacente.

martedì 28 giugno 2011

LA SANCHICCIATA



La giraffa proclama ufficialmente alla comunità tutta che, dopo la serata di ieri al centro sociale La Resistenza, è proibito in quel di Ferrara qualsiasi commento svogliato, qualsiasi giustificazione alla propria pigrizia. Specificatamente le espressioni “non c'è mai niente da fare” e “qua non si riesce mai a fare niente” sono tassativamente bandite dal frasario comune. I ragazzi che seguono il centro infatti hanno saputo, in poco più di tre mesi, ripristinare alla cittadinanza uno spazio già avviato alla decadenza e sfruttarne al meglio le potenzialità, aprendosi onestamente alle idee, ai propositi, ai desideri delle persone. Rispetto ad altri tanti posti pretestuosamente “sociali”, la Resistenza riesce – unica a mio avviso – a favorire una relazione di reciprocità tra avventori e gestori, ad essere casa e giardino di tutti, a rendersi disponibile e permeabile alle collaborazioni e alle contaminazioni. I luoghi di ritrovo in città, tanto i locali privati quanto gli spazi associativi, vengono quasi sempre gestiti alla stregua di club esclusivi. Per quanti sforzi retorici facciano in direzione della condivisione (volantini accattivanti, feste aperte e inaugurazioni), frequentarli è come partecipare a una gara di resistenza. Sarò io il primo a stancarmi di essere costantemente accantonato, oggetto di grandi grandissimi sorrisi ma irrimediabilmente estraneo? O sarà invece il “circolino” a cedere infine alla mia caparbietà, costretto a posare su di me uno sguardo un pochino meno indifferente rispetto a quello che solitamente si riserva a un piccione che sgambetta per strada?
Io mi sono sempre arresa, non ho mai vinto nessuna di queste sfide. Non voglio con questo intendere che siano impossibili: conosco delle persone che in più di una occasione sono riuscite a scalzare piano piano tutte le resistenze degli adepti e ad integrarsi a loro, armati di pazienza sconfinata e un karma positivo granitico. Io appunto non ci sono mai riuscita, ma sarebbe più corretto ammettere che non ho mai nemmeno voluto riuscirci. La grammatica settaria del gruppo-chiuso-autoproclamatosi-apertissimo mi ha sempre avvilito molto. Mi ero quasi rassegnata alla sua inevitabilità, ma sono felicissima di tornare sui miei passi: Ferrara ha finalmente un centro sociale non antisociale, e la Sanchicciata di ieri ne è la prova. A organizzare le attività della Resistenza si alternano amici e coinquilini, associazioni di genitori e gruppi di acquisto solidale: ognuno porta con sé ciò che ha di meglio e trova finalmente uno spazio per metterlo in comune. Nella fattispecie ieri sera si è trattato di salsicce e verdure grigliate, pane curdo fatto in casa (ho provato a carpirne i segreti ma non credo saprò riprodurlo: era eccezionale!), pomodori ripieni e vino rosso. Con tre euro e mezzo si mangiava e si beveva in compagnia, prendendosi il fresco della sera e magari improvvisandosi deejay (la scelta delle canzoni era infatti aperta all’iniziativa dei presenti, una sorta di juboxe postmoderno). Una serata talmente facile, un’idea talmente semplice, da non essere ancora mai stata proposta: cibo buono e un prezzo onesto, musica e qualche zanzara che ormai siamo a fine giugno e ci sta.

sabato 25 giugno 2011

FESTA DELLA LINEA BN


Mi piace sempre l'atmosfera docile del centro sociale la Resistenza. Sembra un ossimoro (resistenza docile?), e ora provo a spiegare meglio quello che intendo: aria familiare, senza pretese nel senso migliore del termine, per cui ci si può permettere di non doversi difendere dagli sguardi o dalle opinioni altrui, e (finalmente!) rilassarsi. Anche la festa della Linea BN, organizzata ieri sera, ha partecipato di quest'aura conviviale e protettiva. Sono stati proiettati all'aperto i booktrailer delle prossime pubblicazioni della casa editrice ("Cose bulgare" e "Io guardo Sofia") ed è stata presentata la raccolta “Piccoli scatti e scritti”, frutto di un concorso di fotografia e narrazione promosso per tutto il 2010 tramite facebook. Gli autori vincitori (tantissimi, uno per ogni settimana dell'anno) hanno brevemente introdotto il loro lavoro, che veniva poi letto ad alta voce con sottofondo musicale ambiguo (non saprei come altro definire una chitarra elettrica che distorce a caso e fischia ogni tanto). A seguire buffet freddo di derivazione bulgara (per accordarsi agli interessi editoriali) e musica piacevolmente datata, le canzoni fresche di quando eravamo tutti più belli e stupidi.
Se ri-penso alla serata devo ammettere che oggettivamente non è stata granché: una lettura di taglio decisamente amatoriale e una cena costosetta (5 euro per un “menù completo” che tanto completo non era – due polpette, una fetta di torta salata, una manciata di riso freddo - ... e che addirittura sull'invito all'evento figurava come offerto!). Se ri-sento la serata sono contenta. Marco Belli è stato un padrone di casa informale e sorridente, l'aura di cui sopra si è insinuata tra i tavoli e le conversazioni, facendo passare in secondo piano le piccole storture. I prezzi scandalosamente onesti del bar poi pacificano sempre l'animo.

mercoledì 22 giugno 2011

IO RICHIEDO - IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO


Sabato 19 giugno in tutto il mondo si è festeggiata la giornata del rifugiato, e a Ferrara per l'occasione è stata organizzata una serata al parco urbano, ospitata nello spazio ancora da scoprire del Camelot Cafè (cfr: Inaugurazione Camelot Cafè).
L'iniziativa si è aperta con una lettura a più voci, dove si incrociavano memorie personali, desideri, sensazioni, pronunce italiane e straniere. I verbali rilasciati dai richiedenti asilo, riduzioni vorticose e dure che nel giro di una frase condensano anni di violenze e peregrinazioni, si mescolavano ai brani più intimi, prosa lirica se non puntualmente poesia, in cui confluivano nostalgie e brandelli di quotidiano. La secchezza tagliente del resoconto cozzava contro il cuore spalancato della vita vissuta, e nessuno tra il pubblico osava fiatare. Lo zoppicare dei lettori più emozionati tra le righe, l'incespicare a tratti delle parole, amplificava il senso dei testi: attribuiva concretezza al percorso lungo e in divenire che ha portato tante persone in Italia, ad imparare una lingua che ora gli appartiene, e che gli permette finalmente di potersi raccontare. L'aria attorno alla gente era elettrica, tesa nell'ascolto, e finalmente vuota di retorica. Ho apprezzato moltissimo la decisione di commentare le esperienze unicamente leggendo, a intervallare i brani, le norme che regolano il diritto di asilo.
La serata è proseguita in maniera abbastanza tradizionale. Conclusa la lettura è stato offerto ai partecipanti un'abbondante aperitivo, semplice ma sempre efficace (pasta fredda, salumi...), e si è stemperata piano la sensazione amara diffusa dai racconti, tra un boccone di pane e salame e uno sguardo al tramonto violaceo. A seguire il concerto di Giorgio Canali (che già aveva accompagnato le letture): un grande classico delle iniziative ferraresi, che ad alcuni annoia e ad altri attira, ad altri un misto tra le due. Io lo ascolto sempre volentieri, ha chiuso piacevolmente un'iniziativa che ho trovato molto onesta.

domenica 19 giugno 2011

SAGRA DELLA PIZZA (A CASSANA) E SAGRA DEL TORO (A MASI TORELLO)


Ieri sera Ferrara era impegnatissima: concerti, videoproeizioni, inaugurazioni, un grande calderone di proposte. Attirata dall'aria salubre della sera e dal venticello che portava a spasso odore di prato (incredibile che ancora si possa respirare senza dotarsi di branchie) ho deciso di scartare ogni velleità culturale, giovanilistica e modaiola, per perseguire l'ideale bucolico.
Via! Nei campi! 
Dopo un rapido controllo delle serate organizzate nei dintorni, assieme ad alcuni amici si è convenuto di puntare alla sagra della pizza di Cassana (lo so che fa ridere, ma per una abituata a girare in bicicletta entro le mura Via Modena vale già come campagna). Sembrava una buona idea: è vicina e, soprattutto, qualche mese fa ero stata invelata perché in dieci anni di vita presso l'odierna corte estense non ci ero mai andata a mangiare. Credevo che la qualità dell'evento fosse proporzionale all'intensità della "sgridata": m'aspettavo di poter mangiare tantissimo, magari pagando una quota unica all'entrata, o di poter assaggiare diverse tipologie di impasto e condimenti inusuali. Mi sembrava logico che in una sagra della pizza avrei trovato qualcosa di più entusiasmante o caratteristico che un semplice spazio all'aperto per cenare, e dello stesso avviso erano i miei amici. Tutti delusi allo stesso modo: la festa si riduceva ad una specie di pizzeria per ovvie ragioni sgangherata, tra le zanzare e l'erba secca, niente di più. Siamo tornati mesti in automobile, diretti questa volta verso la sagra del toro, a Masi Torello. 
Io non so se storicamente esistano motivi che legano il paese all'allevamento taurino (ho cercato in internet qualche informazione ma non ho trovato nulla), ma a prescindere dalla coerenza con la tradizione la carne di toro non viene servita tanto spesso, e questa possibilità può giustificare da sola la visita. Scovare altre buone ragioni è difficile: nessun allestimento, nessuna orchestrina di liscio, nessuna esposizione di prodotti tipici, nessuna iniziativa, nessuna condivisione in definitiva. Non che io cercassi qualcosa di particolarmente innovativo: obiettivo della serata era appunto quello di trascorrere qualche ora in una classica festa paesana, con i vecchi che ballano la "cesarina", i sedicenni sul Tagadà, e le signore in grembiule a cucinare dietro il paravento. Ho trovato invece il solito tendone rabberciato, le pietanze abbastanza buone ma costose (7 euro un piatto di cappellacci; 2e50 una vaschettina minuscola di patatine... e se il toro alla griglia era gustoso, il purè di patate era verde), e una grande desolazione (per pietà nei confronti del clown non commento lo spettacolo di animazione per bambini). Spero di non incorrere nell'ira dei tanti che si spendono nell'organizzare queste iniziative, ma a parer mio sarebbe un bene per tutti riflettere un po'di più sul significato e il valore del proliferare incongruo di questi improvvisati "eventi tipici".

giovedì 16 giugno 2011

JOHN STRADA A "LEI NON SA CHI SONO IO"


Atmosfera surreale ma piacevole, all'Oratorio dell'Annunziata, in occasione del primo incontro della rassegna "Lei non sa chi sono io", organizzata dalla Pro Loco.
Mi ci sono recata incuriosita soprattutto dalla location, di cui mi avevano parlato con grande entusiasmo. Non è stato possibile accedere alle sale affrescate dei piani superiori, e per soddisfare la curiosità occorrerà ritornare. L'incontro infatti si è svolto al piano terra, in uno stanzone spoglio e fresco, pervaso di quell'odore caratteristico che solitamente si associa alle vecchie canoniche, in cui si mescolano pulizia e tende tirate, un vago sentore di muffa. Una grande reminescenza olfattiva dunque, ma anche visiva, tattile: la sala appariva al primo colpo d'occhio trascurata e bruttina, ma già al secondo sguardo si apriva a suscitare indefinite memorie infantili, con le sue sedie scure e dure, le colonne imbottite per attutire gli urti dei bambini, la nicchia per le recite teatrali celata da un umile sipario blu ("neanche per un prete per chiacchierar"). Il folto pubblico intervenuto all'evento, invece di dissipare l'atmosfera sospesa nel tempo, contribuiva ulteriormente all'effetto straniante. Osservando tra le file delle persone sedute non riuscivo a identificare il target della serata: quindicenni ridanciani, coppie ben vestite, anziani orientali in sandali e braghe di tela, famiglie con prole al seguito, trentenni abbronzati... e le suore (vestite da suore). A vederli così, tutti vicini, facevano tenerezza: un grande affresco collettivo e anacronistico, praticamente la locandina di "Amarcord".
E mi rendo conto di non aver ancora speso due righe in merito all'iniziativa in sé, ma adesso ci arrivo.
Cosa riusciva a tenere assieme facce tanto diverse?
Il cantante e insegnate centese John Strada, il quale per l'occasione si è trasformato in showman, imbastendo un variegato repertorio di chiacchiere, canzoni e riflessioni. L'idea di incrociare esecuzione cantautoriale e racconto informale mi è sembrata convincente. Soprattutto in relazione alla produzione locale, usare la musica come veicolo dell'esperienza e viceversa credo possa essere una buona soluzione per valorizzare entrambe.
Le storie ascoltate sono state a tratti buffe, a tratti pensose, sempre molto spontanee (resoconti giovanili, i viaggi all'estero, l'immaginario americano, l'ispirazione tradotta in creazione...). Le canzoni vi si sono inserite con naturalezza. Ho apprezzato maggiormente le cover in inglese ("Everybody got a Hungry Heart" di Springsteen e "Long Black Veil" di Cash, con tanto di traduzione quasi in simultanea) e i brani più spensierati ("Signora Rina", dedicata alla vicina impicciona).  I pezzi a vocazione "sociale" non mi sono piaciuti, li ho trovati sbrigativi e stereotipati ("Mohamed" ripercorre le vicende di uno spacciatore marocchino, ucciso dai rivali tunisini, "Zaira" invece tratta di una prostituta africana ammazzata da un cliente) . Appartengono all'album acustico "Dalla periferia dell'anima", che lo stesso autore definisce ridendo "un disco bruttissimo, muoiono tutti, è veramente triste". A prescindere dalle considerazioni di gusto personale la sua voce rimane fantastica. Vale sicuramente la pena andarla ad ascoltare.

domenica 12 giugno 2011

ENRICO BRIZZI PRESENTA "GLI PSICOATLETI"



Come risolvere un sabato pomeriggio uggioso nella piatta piattissima pianura padana? Andando a sedersi comodi tra gli scaffali di Melbook, ad ascoltare un bravo narratore ripercorrere viaggi e  paesaggi, e svicolare così per un oretta almeno dal presente biancastro del cielo ferrarese per immaginarsi camminare altrove. Enrico Brizzi è stato invitato ieri in libreria a presentare il suo ultimo romanzo, "Gli psicoatleti", dichiaratamente ispirato a una lunghissima migrazione intrapresa in prima persona, volta ad attraversare la penisola italiana a piedi (per maggiori informazioni, si veda il progetto "Italica 150": http://www.italica150.org/italica/Home.html). Del libro si è in effetti discusso, con cura e interesse, ma l'incontro è stato avvincente soprattutto perché farcito e condito di tante esperienze, aneddoti, sincerità grandi e piccole. Lo scrittore più che ripercorrere il romanzo ha spiegato al pubblico  il significato che intimamente attribuisce al viaggio e al viandante, le motivazione ideali che lo hanno portato a spasso per la penisola per più di tre mesi, munito di zainetto e buona volontà, ma anche le difficoltà pratiche, i ripensamenti. Non avevo mai visto Enrico Brizzi, e nonostante in fase tardoadolescenziale io abbia sorbito con grande ammirazione sia "Bastogne" che "Tre ragazzi immaginari" ("Jack Frusciante" non mi convinse mai, nemmeno in quell'epoca di ristrettezze intellettuali e Dawson's Creek), di lui personalmente non avevo mai saputo nulla. Ammetto ora di averlo trovato incredibilmente onesto, per essere uno scrittore, e umile, per essere una persona di successo. Mi ha convinto completamente quando ha parlato del viaggio compiuto come di un "impresa". Ero già pronta a sorbirmi l'excursus didattico sul senso epico e mitologico del termine, il richiamo ai grandi navigatori dell'antichità classica etc. etc. etc. Invece ha specificato: "impresa in senso scoutistico". Non credo sia facile riuscire a liberarsi del fardello dei luoghi comuni (la tentazione della retorica facile) con tanta disinvolta agilità. Percorrere sulle proprie gambe i kilometri che separano la Valle Aurina (provincia di Bolzano) da Capo Passero (Siracusa) e non tirarsela per nulla è già una grande cosa, ma paragonare il progetto allo svago dei bambini più sfigati (sono stata scout e sono autorizzata all'autocritica) è addirittura sublime. In merito alla difficoltà di impegnarsi quotidianamente, avrebbe potuto accentrare l'attenzione sullo sforzo fisico o sulle inevitabili intemperie (non credo avrebbe dovuto nemmeno esagerare la realtà per essere coinvolgente), invece ha raccontato la desolazione di svegliarsi e aver dormito male, e magari trovare nell'ostello delle fette biscottate scadute e il succo di frutta che sa di qualcos'altro che non è succo di frutta. Una semplicità (e di conseguenza un'intelligenza) disarmante.
Le letture mi hanno entusiasmato meno, forse per la scelta dei brani (molto dialogati, un po'difficili da seguire), forse perché i romanzi di Enrico Brizzi sono già entrati nella mia vita in passato e per mille ragioni non ci entreranno più (anche se in effetti la curiosità di leggerlo nuovamente mi è venuta).
Per quanto riguarda invece la gestione dell'evento: innanzitutto sono stata felice di trovare finalmente una libreria capace di ospitare come si deve una presentazione (senza infastidire gli avventori, senza schiacciare il pubblico tra gli scaffali, senza l'imbarazzo dei microfoni che non funzionano e tutto il resto a cui sono - siamo - abituati). La nuova sala inaugurata al terzo piano si è rivelata da questo punto di vista un luogo assolutamente confortevole e attrezzato. Che sollievo. Ho inoltre apprezzato molto le capacità del moderatore, il cui ruolo è a mio avviso cruciale (cfr. Balasso presenta il "Il figlio rubato"). Il ragazzo che ha introdotto e intervistato lo scrittore è stato perfetto: introduzione non troppo sommaria né esageratamente prolissa, intervento minimo ma attento rispetto gli argomenti e i tempi dell'ospite (domande semplici e sensate, puntuali). Se non ho capito male l'incontro è stato proposta e gestito dalla redazione del Tascapane, a cui faccio  i miei complimenti.

sabato 11 giugno 2011

4 GDA: FAST FORWARD




Pensieri alla rinfusa, dopo le serate di mercoledì e venerdì al sottomura di via Baluardi. 
Il tempo ha incredibilmente retto, e nonostante l'umidiccio per terra la gente ha bevuto e gli architetti hanno grigliato. Bancali da ortofrutta sparpagliati nel prato come panchine informali, chiosco immancabile e odore di carne nell'aria. Tanta tanta gente ad entrambe le serate. Mercoledì concerto funky (Dre love & the white niggas), ero bastantemente brilla per cui non mi dilungo in critiche o specifiche. A me veniva voglia di ballare, credo basti. Ieri invece alternanza sul palco di vari dj. Ho mantenuto un profilo alcolico più defilato, e sono tornata a casa senza barcollare e con un sentimento di invincibilità che raramente mi capita di provare. Ho passato praticamente quattro ore seduta nella lingua di terra interna al baluardo, a chiacchierare e guardare lentamente il prato popolarsi e agitarsi. Le prime tre ore di dj set mi sono sembrate incredibilmente monotone e non riuscivo a capacitarmi di come la folla potesse esprimere tanto giubilo (braccia in alto sopra le teste ondeggianti, movimenti disarticolati e partecipi), ma probabilmente sono io che ormai non capisco più le esigenze dei gggiovani.. Un paio di volte ho attraversato il marasma umano del sottopalco, uno sproposito di sudore e ormoni. 
Ogni tanto va bene anche così, senza troppi fronzoli.

martedì 7 giugno 2011

STANZE DI TEATRO IN CARCERE



Ieri ho assistito a qualche appuntamento della rassegna itinerante “Stanze di teatro in carcere”, ospitata a Ferrara nelle sale del comunale. La manifestazione iniziava alle tre e mezza di pomeriggio, con proiezioni, dialoghi e anteprime, e si concludeva a sera inoltrata con lo spettacolo principale “Woyzeck”, organizzato dal teatro Nucleo assieme ai detenuti di Via Arginone. Avrei dovuto essere in pensione per permettermi a inizio settimana una maratona simile, ma ovviamente non lo sono e probabilmente non lo sarò mai, e alcuni incontri - che pure mi interessavano molto - sono andati forzatamente persi (e qui sento l'obbligo morale di aprire una parentesi sulla scelta -veramente troppo frequente- di organizzare eventi utilissimi alla società tutta quando la società tutta è banalmente al lavoro). Fortuna vuole però che io sia perlomeno endemicamente precaria, le mie giornate un gioco a incastro. Ho potuto così intercettare qualche ora libera a metà pomeriggio, ed ecco in pillole quello che sono riuscita a seguire:
LECTIO DI GIULIANO SCABIA: Aerea e vaghissima, interessante ma senza amplificazione, nell'aria umida e ferma del ridotto stavo per crollare addormentata. Scabia prendeva spunto da impressioni personali o parole di uso collettivo per lasciarsi trasportare dalle suggestioni, trovare spunti nuovi per guardare non solo alla realtà carceraria, ma alle varie stratificazioni di soglie che dividono le persone in gruppi, e scindono lo stesso individuo rispetto il proprio essere esterno, proteso, e il proprio essere interno.
ATTRAVERSO CALIGOLA: I detenuti del carcere di Castelfranco Emilia hanno rappresentato, sul palco del comunale, alcuni esercizi che svolgono durante il laboratorio organizzato dal Teatro dei venti, e che saranno strutturati in uno spettacolo che andrà in scena prossimamente a Modena (se non ricordo male). Nonostante la dimensione in fieri del lavoro proposto, orientato sul Caligola di Camus, la rappresentazione è stata molto coinvolgente: una riflessione sulla volontà del potere, espressa soprattutto fisicamente in scene corali di forte impatto emotivo, ma anche attraverso la recitazione di brani ad alto contenuto simbolico. Buona la regia, che ha saputo inserire gli esercizi in una cornice organica, e ha scelto una colonna sonora capace da sola di reggere il palco, alimentando la tensione prodotta dai corpi degli attori. Adesso improvviso una lectio anch'io, qualche riflessione sull'onda lunga dell'emotività: condividere lo spazio teatrale con delle persone detenute è sempre straniante, la soglia che divide la realtà carceraria dalla realtà civile si assottiglia e diventa quasi solo una questione di luce: la distinzione tra chi è prigioniero (e mi rendo conto di usare una parola desueta, ma proprio dalla mancata abitudine credo possa scaturire una nuova comprensione), esposto sotto i riflettori, e chi invece è libero, nascosto nell'oscurità. Poter osservare il volto di chi viene comunemente considerato Altro, avere la percezione fisica della labilità del confine che separa gli spazi (un palcoscenico, una formalità), è un'occasione importante.
DIALOGO TEATRALE TRA PATRIZIO BIANCHI E MARCO DALLARI:  In verità ero tornata al ridotto per sapere qualcosa di più sull'esperienza padovana di Tam Teatro, la cui presentazione era in calendario ma di cui non si è più saputo niente. Qualche imprevisto deve aver modificato il programma senza che si riuscisse ad aggiornare il depliant cartaceo, e mio malgrado mi sono ritrovata ad assistere al dialogo tra il fu magico-rettore e il pedagogista. Di teatrale c'era poco o nulla: i due relatori invece di starsene compiti e seduti parlavano stando in piedi, Bianchi evidentemente stanchissimo, appoggiato al leggio con i gomiti. Un moderatore/intervistatore proponeva delle domande, ed entrambi con agio rispondevano. Niente di nuovo sotto il sole: l'importanza dell'espressione creativa in contesti difficili, l'inaffidabilità del Pil rispetto l'effettivo benessere sociale del paese, la mancanza in tante persone di risorse simboliche per affrontare la realtà. Qualche spunto interessante tuttavia è stato formulato, e mi è piaciuta la prospettiva e l'animo con cui Dallari ha parlato delle proprie esperienze, soprattutto in relazione alla pratica concreta dell'educazione in carcere.

giovedì 2 giugno 2011

DIBATTITO CARDIACO: UNA CITTA' SENZA IMMIGRAZIONE


Non ho ancora capito cosa penso del dibattito organizzato martedì sera.
Sicuramente mi è piaciuta la scelta di invitare personalità e professionalità differenti (maestri, immigrati di prima e seconda generazione, volontari, rappresentanti comunali, etc...), e di consentire a ciascuno di loro un limite massimo di cinque minuti per esporre le proprie idee (si chiama: metodo Ignite). Troppo spesso le occasioni di confronto - a prescindere da quale sia il loro ambito di interesse - si trasformano in lunghissimi monologhi, regolati solo dal buon senso degli stessi relatori. La campanella-timer non ha  avuto ovviamente pretese censorie, se trillava nel bel mezzo di un ragionamento veniva comunque concesso un breve tempo supplementare, per chiudere il discorso, e mi è sembrata uno strumento gentile per mantenere in linea la discussione, evitandole deviazioni improbabili o inutili lungaggini retoriche. La mia impressione però è che l'ansia di comunicare velocemente abbia spinto spesso i partecipanti a somministrare unicamente i concetti ritenuti più importanti, trasformando il dibattito in una sagra delle buone intenzioni. Ho apprezzato quindi soprattutto chi è riuscito a testimoniare le proprie esperienze di vita e di lavoro, fornendo degli spunti di riflessione ancorati tenacemente alla realtà, rispetto chi invece ha tentato la strada dell' "insegnamento virtuoso". Condividere i ricordi e le impressioni di Lumiere Weleheu, di Catalina Golban e di Amarachi Ajuzie Udochukwu è stato molto coinvolgente. Ascoltare la migrazione dalla viva voce di chi tuttora vive le proprie giornate nello spazio di transizione che lega due culture, è sempre stimolante. Ho trovato inoltre particolarmente interessanti i racconti di Roberto Marchetti - presidente dell'associazione Nadya, che dal 2002 segue le problematiche legate al mondo delle cosiddette "badanti" - e di Marcello Brondi - che per anni si è occupato dell'inserimento scolastico dei bambini sinti. Il resto della serata mi è sembrato noiosetto: il topic dell'evento ("una città senza immigrazione") non è stato praticamente affrontato, se non lateralmente e sempre di sfuggita; le ulteriori riflessioni proposte sono state di carattere talmente vago da risultare superflue in un contesto interessato. A mio avviso vale la pena di ripetere alcuni concetti basilari (un esempio su tutti: "scoprire l'individuo oltre gli stereotipi") solo se si ha a disposizione una platea di persone a cui questi concetti basilari evidentemente mancano. Predisporre un confronto tra persone che già la pensano tutte allo stesso modo non ha molta utilità, a meno che appunto non si decida di abbandonare le acque placide del luogo comune per tentare di discutere più approfonditamente della complessità del reale. 
Le strade percorribili per rendere il dibattito efficace mi sembra possano essere soltanto due: o si organizzano incontri dove affrontare questioni specifiche, e si invitano a parlare persone altamente qualificate con un conseguente richiamo di pubblico consapevole; o si organizzano incontri a carattere generale destinati a "convertire" le masse. Ovviamente le masse, in quanto tali, disdegnano solitamente la serata impegnata. Propongo quindi di intitolare il prossimo dibattito dedicato all'immigrazione "eccezionale spettacolo di lap-dance, free entry e consumazione inclusa". Si avrebbe così a disposizione un pubblico veramente digiuno di buona coscienza interculturale, e allora sì che sarebbe utile rispolverare le vecchie massime.